Muoversi 2 2023
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QUALCHE IDEA PER LA RETE CARBURANTI CHE VERRÀ

QUALCHE IDEA PER LA RETE CARBURANTI CHE VERRÀ

di Claudio Spinaci

Claudio Spinaci

Presidente
Unione Energie per la
Mobilità - unem

In questi ultimi mesi si è parlato molto di rete carburanti e di cosa servirebbe per renderla più efficiente e in linea con gli standard europei da cui siamo molto lontani.

L’innesco lo ha dato il cosiddetto “DL trasparenza prezzi” emanato a metà gennaio dal Governo per cercare di tamponare le polemiche seguite al ritorno all’accisa piena sui carburanti dal 1° gennaio. Un provvedimento che ha spinto le Organizzazioni dei gestori a proclamare uno sciopero a cui il Governo ha risposto, sperando di poterlo evitare, offrendo l’apertura di un tavolo di confronto, presieduto dal Ministro Urso, per discutere sulle criticità del settore.

Lo sciopero c’è comunque stato, anche se limitato ad un solo giorno rispetto ai due annunciati, ma i contenuti del decreto-legge, convertito in legge a metà marzo, non sono stati sostanzialmente cambiati nonostante le ripetute sollecitazioni arrivate praticamente da tutti gli attori della filiera – e anche dall’Antitrust – sulle molte criticità di un provvedimento che nulla aggiunge in materia di trasparenza dei prezzi, se non nuovi adempimenti e costi per i titolari e i gestori degli impianti.

Il tavolo, che dovrebbe dare risposta alle preoccupazioni del comparto, è stato avviato a febbraio individuando i temi da affrontare che si possono riassumere in quattro macroaree: razionalizzazione della rete ordinaria; razionalizzazione della rete autostradale; contrattualistica tra titolari e gestori degli impianti di carburanti; utilizzo degli strumenti di pagamento. Temi oggetto anche delle due distinte risoluzioni presentate recentemente alla Camera su cui i proponenti, del PD e del M5S, chiedono un impegno al Governo e su cui è in corso un ciclo di audizioni, a cui abbiamo partecipato.

E proprio da qui vorrei partire per lanciare qualche idea per la rete che verrà.

Come ho avuto modo di dire durante l’audizione, per capire come e dove intervenire bisogna anzitutto partire dai dati. E questi ci dicono che la nostra rete di distribuzione è oggettivamente ridondante visto che a parità di litri distribuiti abbiamo circa il doppio degli impianti della Spagna, nonché della Francia e del Regno Unito (in questo caso sono ben più del doppio) che però hanno volumi complessivi di vendita di molto superiori (tra il 40 e il 50%). Per non parlare della Germania che ha volumi quasi doppi dei nostri ma con due terzi degli impianti.

Va poi tenuta in debito conto l’estrema polverizzazione degli operatori che non c’è negli altri Paesi europei, in particolare in Francia, Germania e Regno Unito dove i titolari di meno di 30 punti vendita sono tra i 350 e i 600 rispetto agli oltre 5.000 presenti in Italia. Una polverizzazione che ha generato una inefficienza complessiva del sistema e messo sotto pressione, nel decennio scorso, i tradizionali sistemi di controllo basati sui documenti cartacei, lasciando spazio ad una diffusa illegalità: se prima gli obblighi in termini di Iva e accise gravavano su pochi soggetti di grandi dimensioni, relativamente facili da controllare, oggi tali soggetti sono talmente tanti, spesso di piccolissime dimensioni, che i controlli tradizionali non bastano più.

Si sta parlando molto di rete carburanti e di cosa servirebbe per renderla più efficiente e in linea con gli standard europei: per capire come e dove intervenire bisogna partire dai dati, che ci dicono che la nostra rete è oggettivamente ridondante e frammentata

Da questo punto di vista va però detto che molto è stato fatto a partire dal 2016, con una serie di misure che hanno spinto sulla progressiva e completa digitalizzazione della filiera, utile a consentire una tracciatura completa di tutte le transazioni, sia fisiche che finanziarie, a monte e a valle. In questa direzione vanno interventi come la revisione della disciplina dei destinatari registrati, nuovi criteri per autorizzare i depositi fiscali, la trasmissione telematica dei corrispettivi, la fatturazione elettronica – che abbiamo anticipato nella sua adozione sin dal 2018 – l’eliminazione della lettera d’intenti, l’e-das, l’Infoil per i depositi – che però andrebbe esteso anche a quelli inferiori ai 3.000 mc. Interventi che in qualche modo hanno permesso di limitare il fenomeno delle frodi che stimiamo intorno al 5-10% dei volumi, pari a 2-4 miliardi di euro. Siamo in una fase di miglioramento ma non bisogna arretrare: l’automazione dei controlli va completata rapidamente, va favorita la interoperabilità tra le diverse banche dati per intervenire sulle fattispecie di frodi emergenti (ad esempio, sul rispetto degli obblighi sui biocarburanti sempre più significativi).

Confido che il tavolo aperto dal Governo consenta di affrontarli i vari e complessi temi in modo sistematico e pragmatico e di superare questa situazione di inefficienza che caratterizza la nostra rete distribuzione carburanti ormai da decenni e che impedisce una sua evoluzione, ormai improcrastinabile

Un discorso a parte lo merita la rete autostradale, dove la situazione è molto compromessa ed ha ormai assunto caratteristiche strutturali. Le cause sono note e sono legate al progressivo e costante calo dei consumi data la crescente autonomia degli autoveicoli che hanno sempre meno bisogno di una sosta per il rifornimento (in autostrada in media c’è un’area di servizio ogni 30 km), ma anche agli alti costi di gestione dovuti alla necessità di assicurare rigide condizioni operative che comportano maggiori oneri rispetto alla rete ordinaria (apertura 24 su 24 ore, 7 giorni su 7, presenza servito, royalties da corrispondere al concessionario). È evidente che andrebbero chiusi il 20-30% dei punti vendita se vogliamo dare una prospettiva di sostenibilità alla distribuzione autostradale garantendo comunque un servizio capillare e qualificato. A tal fine servirebbe aggiornare il Decreto Interministeriale del 7 agosto 2015 che invece prevedeva la chiusura di pochi impianti a cui andrebbe poi dato seguito con un efficace piano ad hoc ben più profondo di razionalizzazione e riconversione

Una significativa modernizzazione e razionalizzazione anche della rete ordinaria è ineludibile, soprattutto nella prospettiva dello sviluppo di carburanti alternativi, che non sono solo ricariche elettriche ma anche tutta quella gamma di prodotti (carburanti low carbon liquidi e gassosi: e-fuels, biocarburanti, recycled carbon fuels, idrogeno, biogas naturale) di cui avremo bisogno per centrare gli obiettivi di decarbonizzazione.

Dal mio punto di vista, sarebbe opportuno partire da quello che già c’è. Anzitutto dalle incompatibilità, assicurando l’applicazione di norme che ci sono dal 2017, scarsamente rispettate e su cui molti Comuni sono in ritardo. Inoltre, si dovrebbe, anche in questo caso, spingere con l’interoperabilità delle banche dati (Osservaprezzi, Anagrafe Carburanti, Agenzia delle Dogane) per un’efficace attività di monitoraggio e controllo utile ad elaborare una programmazione per bacini. Pensare poi a misure di incentivazione per aggregazioni tra operatori, a un Fondo pubblico per la chiusura e smantellamento degli impianti non idonei alla modernizzazione, nonché a procedure di smantellamento e bonifica degli impianti chiare e certe nei tempi.

Un’ultima riflessione riguarda il tema della contrattualistica che ricorre spesso nel dibattito pubblico. Un argomento su cui va fatta chiarezza. Oggi, in base alle norme vigenti, l’impianto può essere gestito in forma “diretta”, ossia dal titolare dell’impianto oppure affidato ad un “terzo” a cui il titolare dell’impianto dà in uso gratuito tutte le attrezzature (c.d. “comodato d’uso petrolifero”), assicurando l’approvvigionamento dei prodotti con un contratto di fornitura in esclusiva.

Nel primo caso, il titolare dell’autorizzazione dell’impianto, nonché titolare della licenza fiscale d’esercizio, opera con l’ausilio di proprio personale e non ha altri vincoli se non quelli previsti dalle attuali norme civilistiche anche in termini di trattamento economico.

Nel secondo caso, i rapporti economici sono invece regolati secondo modalità e termini definiti dalla disciplina di settore con accordi aziendali, cioè tra singola azienda titolare e Associazioni rappresentative dei gestori, nel rispetto degli indirizzi comunitari. Oltre al “comodato e fornitura”, previsto dalla legge, sono altresì consentite altre tipologie contrattuali purché “tipizzate”. Un esempio in tal senso è il “contratto di commissione” sottoscritto nel 2018 da unem (allora Unione Petrolifera) e le Associazioni dei gestori. Uno step ulteriore potrebbe la “tipizzazione” anche del contratto base di comodato con fornitura in esclusiva per adattarlo alle nuove esigenze operative.

In questo contesto, nel caso di affidamento a “terzi” è necessario, per evitare dannosi e iniqui fenomeni di dumping contrattuale, che l’applicazione dei contratti “tipizzati” e la contrattazione collettiva venga rispettata da tutti gli operatori a prescindere dalla loro dimensione, in quanto la dimensione ridotta di alcune aziende titolari di impianti non può rappresentare un ostacolo al rispetto della disciplina di settore. Una soluzione potrebbe essere quella di arrivare ad accordi collettivi su base regionale per operatori con un numero limitato di impianti.

Ciò che non è assolutamente condivisibile, è l’introduzione per legge di trattamenti minimi delle gestioni che negherebbe il principio della negoziazione tra le parti, trattandosi di un rapporto commerciale e non di lavoro subordinato. Introduzione, peraltro, di difficile applicazione vista la pluralità di fattori che dovrebbero incidere sulla definizione di tali minimi.

I temi sono tanti e complessi. Confido che il tavolo aperto dal Ministro Urso e coordinato dal Sottosegretario Bitonci consenta, con il supporto di tutti gli altri Ministeri coinvolti e del Parlamento, di affrontarli in modo sistematico e pragmatico e di superare questa situazione di inefficienza che caratterizza la nostra rete distribuzione carburanti ormai da decenni e che impedisce una sua evoluzione, ormai improcrastinabile.